Gestire le emozioni è uno dei compiti che impegna l’uomo lungo tutto l’arco della sua vita. Le emozioni sono eventi complessi, che scuotono la persona nella sua interezza, talvolta travolgendola, talvolta fornendo quell’energia necessaria al confronto con la situazione. Per questo come gestire le emozioni è una capacità che non si apprende una volta per tutte, ma che deve essere sostenuta, rinforzata e modificata durante tutto il percorso di vita. Le emozioni rimangono, comunque, ciò che “colora” le nostre esperienze e i nostri vissuti, fornendo spessore, profondità e significato.
Cosa sono le emozioni
Le emozioni possono essere definite come delle reazioni a valore adattivo a stimoli interni o ambientali, caratterizzate da peculiari reazioni somatiche e determinate qualità affettive. Sono eventi complessi, che coinvolgono tutta la persona e si manifestano sul piano affettivo, cognitivo, somatico, espressivo e nel comportamento.
Sono
reazioni adattive. Il termine “emozione” deriva dal latino
“èmotus”,
che significa “scuotere”, “smuovere”. Sono disposizioni
reattive dell’organismo in risposta all’ambiente naturale e
sociale in cui vive. Sono quindi un modo di rapportarsi alle vicende
della propria vita che l’uomo ha ereditato dal proprio passato
filogenetico. In questo, l’uomo è simile agli animali,
specialmente a quelli più vicini nella catena evolutiva, come le
scimmie antropomorfe. Per l’essere umano risulta fondamentale la
presenza di un “ambiente interno”, psichico, in cui sono
rappresentati le proprie relazioni, passate e presenti, e tutti gli
oggetti interni significativi. Questi elementi, di solito non
consapevoli, influenzano la facilità di esperire certe emozioni e la
loro intensità e durata.
Le emozioni possono provocare esperienze piacevoli o spiacevoli, e possono avere una diversa gamma di intensità, dalla più forte e travolgente alla blanda coloritura di un’esperienza.
Differenza tra emozioni, affetti e sentimenti
Le
emozioni
possono essere definite come stati affettivi di breve durata, con un
inizio riconoscibile (che può essere interno o interno) e che
comporta modificazioni dell’intero organismo, la presenza di
espressioni facciali collegate e dei comportamenti in linea con la
causa.
Gli
affetti
sono una categoria generica, che varia per intensità e qualità e
che include le emozioni, non limitandosi a queste.
I sentimenti sono stati affettivi, con un’intensità bassa, durata protratta e che incidono su tutta l’attività psichica e il comportamento. A differenza delle emozioni, non si può trovare una causa precisa per il sentimento. Possono essere considerati lo “sfondo” su cui interpretiamo affettivamente gli eventi, dando loro un tono positivo o negativo.
Emozioni primarie e emozioni secondarie
Sono state identificate 6
emozioni “primarie” dalla
cui combinazione deriverebbero le altre emozioni.
Le emozioni “primarie”
sono: la rabbia, la
tristezza, la
sorpresa, la gioia,
il disgusto e la
paura. Queste
emozioni hanno delle modalità di manifestazione piuttosto tipiche,
sia per quanto riguarda l’espressione facciale che inducono, sia
per i comportamenti che ne scaturiscono. Siamo infatti in grado di
riconoscere un volto triste
in praticamente ogni luogo, così come abbiamo paura quando
riconosciamo nell’altro un comportamento di rabbia.
Questo poter riconoscere ciò che l’altro prova ha una forte
valenza sociale, sia per la coesione sociale che produce, che per la
difesa dell’individuo. Un caro (ma anche un estraneo) triste, ci
mette nella condizione di soccorrerlo, cementando così la rete
sociale. Un estraneo che mostra rabbia ci fa provare l’emozione
della paura, che ci può predisporre a una fuga opportuna e
protettiva.
Le emozioni “secondarie” derivano da una combinazione delle emozioni di base. Sono risposte anch’esse piuttosto coerenti in sé e si originano all’interno delle relazioni sociali. Non sono quindi risposte preordinate dall’evoluzione, o lo sono in relazione all’evoluzione sociale di cui l’individuo fa parte. Ne sono esempi: la gelosia, la vergogna, l’invidia, la rassegnazione.
Emozioni difficili
Le
emozioni, come detto, colorano a tinte forti la nostra vita e le
nostre esperienze, nella piacevolezza e nel dispiacere. Certe volte
le emozioni si impongono senza che possiamo arginarle per
confrontarci con la situazione. Essendo le emozioni un evento che ha
la capacità di coinvolgere tutto l’individuo, anche confondendo le
sue capacità di elaborazione razionale, spesso accade che la persona
non riesca a comprendere la situazione a pieno e che vi reagisca.
Reagire e agire
Reagire
può voler significare che la persona agisce in un modo stereotipato
allo stimolo. L’azione
è un comportamento dell’organismo sulla base della comprensione
della situazione e in linea con determinati obiettivi. Questo
comporta una povertà di risposte possibili e, spesso, l’instaurarsi
di relazioni difficili. Se durante una discussione col partner la
persona sente una minaccia, un’accusa, un’offesa, può reagire a
questo evento con rabbia. L’offesa, tuttavia, può essere anche in
parte vissuta come tale, ma non esserlo di fatto. La reazione di
rabbia comporta per chi la produce e per chi la subisce, una chiusura
del dialogo. Non c’è poi modo (salvo i chiarimenti dopo la
discussione), di dire che ci si è sentiti feriti, offesi e perché.
L’emozione travolge, la persona e il suo interlocutore. La
reazione, ovvero l’azione stereotipata e non pensata, può
compromettere le relazioni, può mettere a rischio le attività
quotidiane della persona. Soprattutto, un’emozione non pensata è
fonte di grande angoscia per chi la prova. Non potendo dare parola a
quei moti potenti, la persona è preda di sé: vive l’emozione, ma
non le da significato. E anche la situazione in cui si origina non
assume mai un significato esteso. Rimane una delle tante occasioni in
cui ci si è, ad esempio, arrabbiati.
Alternative alla reazione
Un
modo per gestire
le emozioni
è sicuramente quello di saperle riconoscere appena insorgono. Sapere
che in un certo momento si è arrabbiati aiuta a dare senso al nostro
vissuto. Aiuta a fermare l’ondata emotiva e a chiedersi: “Cosa mi
fa arrabbiare?”. Questa domanda apre alla possibilità di indagare
la realtà e la situazione per comprendere se la quell’emozione è
coerente con quello che sta accadendo.
Dare
un nome all’emozione e chiedersi “cosa” la fa provare,
apre anche la possibilità di indagare la realtà interna. Come
detto, il nostro ambiente psichico è affollato di tutte le persone,
le relazioni e le esperienze passate. In esse si trovano le nostre
emozioni e le prime situazioni in cui si sono manifestate e
rafforzate. Nella nostra storia, quella storia per come l’abbiamo
vissuta, è racchiusa la nostra predisposizione a reagire invece che
a compiere azioni. Rintracciare la storia delle nostre emozioni, dare
un significato a questa storia con molte parole è un modo per
trovare l’alternativa alla reazione. È un modo per produrre,
lentamente, un cambiamento verso relazioni con le persone, la realtà
e se stessi più proficuo e appagante. È sicuramente un dialogo
interno molto complesso che può essere ostacolato da timori e dalla
forte tendenza umana al mantenimento delle strategie di confronto con
se stessi. È un dialogo che può trovare un suo sostegno nello
studio dello psicologo. Il dialogo psicologico è proprio un dare
parole alle emozioni e dare significato alla storia delle nostre
relazioni, passate, presenti e future. Sapere che cosa in noi induce
una certa risposta emotiva non pone ovviamente a riparo dal provare
una certa emozione. Parlare è compiere un’azione e non essere
soggetti a una reazione. Parlare è emozionarsi e depositare
l’emozione in una storia che dona significato alla nostra vita.