Proverò a dare una breve, e non esaustiva, rassegna della teoria del pensiero di Bion, cercando di vedere il significato di elementi alfa, elementi beta, funzione alfa.
Fattori e funzioni della personalità
Nel suo libro del 1962,
Apprendere
dall’esperienza,
Bion comincia a spiegare la sua visione sulla formazione dei
pensieri. La personalità
dell’individuo viene concepita come un insieme di funzioni,
dove «“funzione”
indica l’attività mentale propria di una certa quantità di
fattori che operano in concordanza» (Bion,
1962). Il fattore,
invece, viene inteso come «l’attività mentale che, operando
assieme ad altre, costituisce una funzione» (Bion,
1962). Attraverso
l’indagine delle funzioni
della personalità è possibile ricavare i fattori
che la rendono possibile. Tra le funzioni
che costituiscono la personalità, Bion considera fondamentale, per
la genesi dei pensieri, quella che lui chiama funzione
alfa.
Per rendere noti i fattori
che costituiscono la funzione
alfa, Bion ricorre
alle indagini che Freud elaborò ne Precisazioni
sui due principi dell’accadere psichico,
del 1911, sulle modificazioni dell’apparato psichico e delle sue
funzioni, in relazione a «L’aumentata importanza della realtà
esterna» (Freud, 1911).
Freud era
partito dalla caratteristica del nevrotico di allontanarsi
mentalmente dalla realtà, dalla sua «perdita della function
du réel» (Freud,
1911), per cercare le
cause di quella che gli appariva (come la nevrosi stessa) un
comportamento “normale” dell’apparato psichico. La psicoanalisi
gli aveva mostrato che, al di sotto delle modalità di pensiero
cosciente, si celavano dei «processi più antichi, primari, […]
residui di una fase di sviluppo nella quale essi costituivano l’unica
specie di processi psichici» (Freud,
1911). Da questa modalità
di pensiero-azione, denominata processo
primario che
agisce in base al principio
di piacere-dispiacere,
dove il “pensiero” mira ad ottenere piacere ed a rifuggire il
dispiacere, e l’”azione” si risolve nell’allucinare la
realizzazione del desiderio, l’apparato psichico ha dovuto
sganciarsi a causa della sua inefficienza, e ha «dovuto risolversi a
rappresentare a sé stesso, anziché le condizioni proprie, quelle
reali del mondo esterno»
(Freud,
1911) affinché
quest’ultimo potesse essere modificato per l’appagamento dei
desideri.
L’apparato psichico, quindi,
ha dovuto, per questo scopo di vitale importanza, modificare sé
stesso; e sono queste modificazioni che Bion riprende come fattori
della funzione alfa.
Questi sono l’attenzione
e il sistema di
annotazione. Bion
li riprende con il valore semantico che Freud aveva dato loro: la
prima come «una funzione particolare per esplorare periodicamente la
realtà esterna, così che i dati di questa siano già noti quando si
produca un incontenibile bisogno interiore» (Freud,
1911); il secondo «il
cui compito è quello di depositare i dati di questa periodica
attività di coscienza [cioè, l’attività di esplorazione della
realtà esterna ad opera dell’attenzione]:
una parte di quella che chiamiamo memoria»
(Freud, 1911).
Bion dice che l’attenzione
e l’annotazione,
insieme alla scissione, all’identificazione proiettiva,
all’oscillazione dalla posizione
schizo-paranoide alla
posizione depressiva
e ad alcune considerazioni sulla formazione dei simboli e sullo
sviluppo del linguaggio, verranno considerati «unicamente in qualità
di fattori modificati mediante reciproca combinazione in una
funzione» (Bion, 1962).
Tutte questi processi e teorie, cioè, sono dei fattori che
contribuiscono alla formazione della funzione
alfa, un’integrazione
di attività mentali fondamentale, in quanto presiede alla formazione
dei pensieri.
Nell’utilizzare i passi in cui Freud ipotizza la formazione delle due neo-funzioni dell’apparato psichico deputate «a cogliere, oltre alle qualità del piacere e del dispiacere […], anche le qualità sensoriali» (Freud, 1911), Bion fa un’annotazione che si rivelerà fondamentale per la sua concezione della capacità (o possibilità) di apprendere dall’esperienza. Bion considera «il comprendere [funzione della coscienza] le impressioni sensoriali e il comprendere le qualità piacere e dolore» (Bion, 1962), come due parti dello stesso processo di comprensione, dove quest’ultima funzione è considerata «Non nel senso dell’intelligibilità, ma nel senso di estensione» (Bion, 1963). In questo contesto l’esperienza si configura come un’integrazione, nella comprensione cosciente, degli oggetti coi quali ci si rapporta, siano essi del “mondo esterno” o di quello “interno”, e delle qualità piacere-dispiacere percepite in relazione ad esso. In altre parole, per ottenere un apprendimento, si deve “lavorare” sulla totalità dei fattori che fanno sì che si abbia un’esperienza intesa come relazione tra un soggetto e un oggetto tra loro inseparabili. La coscienza, intesa nel senso freudiano di «organo di senso per la percezione di qualità psichiche» (Freud, 1899), non fa distinzione tra l’esperienza emotiva che si verifica nello stato di veglia, in quello di sonno o nell’esperienza del proprio mondo interno; «Perché possano essere utilizzati dai pensieri del sogno, le percezioni di un’esperienza emotiva debbono essere preventivamente elaborate dalla funzione alfa» (Bion, 1962).
Elementi alfa, elementi beta e funzione alfa
Da questo passo si comprende
come, per Bion, la possibilità di avere pensieri dipenda dalla
capacità di relazionarsi “positivamente”, cioè mediante quella
funzione mentale che egli chiama funzionealfa,
con le esperienze emotive che si producono in ogni situazione.
Infatti, «La funzione alfa esegue le sue operazioni su tutte le
impressioni sensoriali, quali che siano, e su tutte le emozioni, di
qualsiasi genere, che vengono alla coscienza»
(Bion, 1962),
e fa sì che vengano prodotti quelli che Bion chiama elementi
alfa, i quali
«vengono immagazzinati e rispondono ai requisiti richiesti dai
pensieri del sogno» (Bion,
1962). Questi elementi
alfa sono concepiti,
da Bion, come i “fenomeni”, in senso kantiano, e si
contrappongono agli
elementi beta,
i quali, ancora kantianamente, sono sentiti dal soggetto come “cose
in sé”. Questi ultimi sono il materiale grezzo, «le impressioni
sensoriali coscienti e le emozioni provate» (Bion,
1962), dalle quali si
potrebbero produrre elementi per i pensieri.
Gli elementi alfa possiedono, dunque, quelle caratteristiche che rendono possibile l’attività di pensiero, i ricordi e i sogni. Dice Bion (1962): «Difatti la funzione alfa trasforma le impressioni sensoriali in elementi alfa i quali hanno somiglianza – se addirittura non sono la stessa cosa – con le immagini visive che ci sono familiari nei sogni – quegli elementi cioè che svelano il loro contenuto latente quando l’analista li abbia interpretati». Gli elementi beta, non possedendo quelle caratteristiche, non sono adatti per le operazioni di pensiero, pur essendolo, comunque, per altre. Essi si configurano come «fatti indigeriti» (Bion, 1962), non come ricordi, e «sono disponibili per le operazioni dell’identificazione proiettiva» (Bion, 1962). Gli elementi beta sono destinati all’evacuazione, e il loro utilizzo è tipico di un «pensiero fondato sul manipolare ciò che viene percepito essere una cosa in sé: tale manipolazione viene omologata all’uso delle parole e delle idee» (Bion, 1962). Questo significa che, quelle impressioni sensoriali delle esperienze emotive, avvertite con le caratteristiche di oggetti sensibili, invece di diventare materiali per un pensare orientato verso la modificazione della realtà, e quindi simbolizzabili e rappresentabili con le parole di un linguaggio, restano “cose in sé”, che significano quello che sono, che si sovrappongono ai fatti della realtà esterna. L’individuo che utilizza un tipo di pensiero come questo, non distingue ciò che prova da ciò che è accaduto al suo esterno, ed è portato ad agire, nel mondo esterno, allo stesso modo in cui, un individuo con una funzione alfa efficiente, agisce nell’inconscio. Il risultato è la riduzione di una tensione interna, ma non inconscia, dato che l’intera mente è costituita da elementi beta, vale a dire, da una realtà che è così come appare.
Nuova concezione del sogno
La funzione
alfa, come detto,
opera sulle impressioni sensoriali delle esperienze emotive, sia
della veglia che del sonno, formando gli elementi
alfa. L’avere
questi elementi elaborati (metabolizzati) conduce alla possibilità
di prendere o meno coscienza di quelle esperienze. Bion utilizza le
virgolette per distinguere e trovare una relazione tra il sognare,
come processo psichico che si verifica nello stato di sonno, e il
“sogno”,
inteso da lui come una operazione più generale dell’attività
psichica, comprendente anche il sogno con la comune accezione.
Quest’ultimo tipo di sogno,
infatti, è il racconto, la descrizione, in stato di veglia (dove si
deve leggere anche cosciente), di quella esperienza emotiva, sognata
o sentita da svegli. Nell’ottica di Bion, il “sogno” (quello
che egli vuole distinguere con l’uso delle virgolette) è
un’operazione,
resa possibile dalla
funzione alfa,
che ha come risultato la discriminazione
tra il conscio e l’inconscio,
separazione che deve essere mantenuta per avere un pensiero ordinato.
Il sogno, comunemente inteso, è il resoconto (più o meno costruito)
di ciò che è avvenuto durante lo stato di sonno. Per Bion, come si
è già detto, la funzione
alfa esplica la sua
azione su ogni impressione sensoriale delle esperienze emotive,
indipendentemente dal loro verificarsi nel sonno o nella veglia.
L’ambito di
applicazione della parola “sogno” (tra virgolette) si estende
così a tutte le possibilità di pensare ciò che sta avvenendo, vale
a dire, tutte le esperienze emotive che vengono metabolizzate e
trasformate in elementi
alfa.
Il “sogno” è, dunque, una barriera che mantiene separati gli avvenimenti dei quali è stata presa coscienza da quelli che rimangono fuori dalla comprensione di quest’ultima; esso, cioè, separa, anche grazie alle due funzioni scoperte da Freud della resistenza e della censura (che qui hanno chiaramente un’altra origine), ciò che è conscio da ciò che non lo è. A questo proposito, Bion riporta un esempio di una persona che, parlando con un amico, converte in elementi alfa le impressioni sensoriali di questa esperienza emotiva, e così «Grazie al “sogno” può continuare ad essere ininterrottamente sveglio; sveglio, cioè, relativamente al fatto di star parlando con il suo amico, ma addormentato relativamente ad elementi che, se potessero penetrare le barriera dei suoi “sogni”, metterebbero il suo intelletto sotto il dominio di idee ed emozioni solitamente inconsce» (Bion, 1962).
La barriera di contatto
Il “sogno”, che impedisce il dominio della consapevolezza sulle fantasie inconsce e viceversa, è esemplificata da una particolare modalità di relazionarsi degli elementi alfa, avente la funzione di preservare «la personalità da uno stato virtualmente psicotico» (Bion, 1962), una barriera tra la consapevolezza e i fenomeni mentali inconsci.Gli elementi alfa che si producono grazie all’azione che la funzione alfa esercita sulle impressioni sensoriali delle esperienze emotive, proliferano durante le esperienze, e «si condensano (cohere) formando [quella che Bion chiama] la barriera di contatto» (Bion, 1962). La barriera di contatto, essendo formata dalla condensazione e dalla proliferazione di elementi alfa, è in continua formazione, e «segna il punto di contatto e di separazione fra gli elementi consci ed inconsci e genera la distinzione fra loro» (Bion, 1962). Il conscio e l’inconscio sono anch’essi formati da elementi alfa, ma nel secondo si vanno a depositare le esperienze metabolizzate, così che il pensiero cosciente sia libero dalle emozioni dell’esperienza e possa dedicarsi a ciò che sta accadendo. Con la trasformazione degli elementi beta in elementi alfa e con il loro deposito nell’inconscio, i «pensieri destinati un tempo a diventare coscienti divengono inconsci» (Bion, 1962), col risultato che l’esperienza può essere pensata senza esserne coscienti. In questo modo «i pensieri del sogno e il pensiero inconscio di veglia» (Bion, 1962). hanno del materiale da utilizzare al fine di produrre sogni e di lasciare libero il pensiero da emozioni che ne comprometterebbero l’attività nella realtà; quindi, «La funzione alfa è necessaria per ragionare e pensare consapevolmente e per devolvere il pensare all’inconscio quando, nell’apprendere un’attitudine, è necessario liberare la coscienza dal peso del pensiero» (Bion, 1962). Sempre usando le parole di Bion (1962): «Ecco la formulazione più generale della mia teoria: perché si possa apprendere dall’esperienza, la funzione-alfa deve operare sulla consapevolezza di un’esperienza emotiva; dalle impressioni di tale esperienza scaturiscono elementi-alfa; tali elementi vengono resi immagazzinabili affinché i pensieri del sogno e il pensiero inconscio dei veglia li possano utilizzare».
Genesi della funzione alfa
Naturalmente Bion doveva anche
concentrarsi sulle modalità di produzione, di genesi, della funzione
che egli aveva ipotizzato per meglio comprendere i disturbi del
pensiero. A questo proposito Bion riprende e sviluppa il “modello
alimentare” che già Melanie Klein aveva applicato al pensiero e,
come lei, pone come punto di partenza dello sviluppo dell’apparato
per pensare i pensieri nella relazione duale seno/madre–bambino.
Bion sostiene che, prima ancora di avere l’apparato che permette di
pensare i pensieri, l’individuo deve essere capace di svilupparli,
il che significa, utilizzando i suoi termini, che gli elementi
beta devono potersi
evolvere in elementi
alfa. Per far ciò è
necessaria la funzione
alfa. La domanda che
si pone è naturalmente come il bambino giunga ad averla.
Nell’infante, originariamente,
sono presenti solo elementi
beta («La
conclusione è che gli elementi beta sono cronologicamente anteriori
agli elementi alfa». Bion, 1962)
le sue esperienze emotive sono «seno buono e seno cattivo» e «ciò
che viene in primo luogo segnalato agli organi di senso sono la
componente fisica, il latte, il malessere dovuto alla sazietà, o il
suo opposto» (Bion,
1962). Egli non è capace
di gestire e metabolizzare queste sensazioni e queste emozioni, dato
lo stato primitivo della sua attività di pensiero, un pensiero che
serve «a liberare la psiche dall’accumularsi degli stimoli,
secondo quel meccanismo che Melanie klein ha chiamato identificazione
primitiva». Questo meccanismo primitivo e non adattivo, che tratta
la realtà in modo onnipotente, è alla base dello sviluppo del
pensiero, nonché la chiave per comprendere come si formano le sue
anomalie. Il bambino, mediante questo meccanismo, intende «suscitare
nella madre la presenza di quelle sensazioni che egli non intende
avere o che comunque desidera che la madre abbia» (Bion,
1962). È evidente che la
madre gioca un ruolo cruciale nello sviluppo della capacità di
pensare del bambino; ma, altrettanto importante è la costituzionale
capacità di tollerare la frustrazione del bambino stesso. Tollerare
la frustrazione significa non dover ricorrere alla scissione e alla
proiezione di parti di sé avvertite come cattive nella madre e, di
conseguenza, entrare in rapporto più realistico con la realtà.
Sulle orme di Klein, Bion ripercorre il cammino che, dalla relazione duale originaria tra madre e bambino, conduce alla formazione, in quest’ultimo, di un pensiero dominato dal principio di realtà, dalla capacità di adattarsi all’ambiente esterno e dalla possibilità di relazionarsi con la propria realtà psichica, rintracciando in essa la verità su sé stesso. In questa relazione il seno dona al bambino «latte, senso di sicurezza, calore, benessere, amore» (Bion, 1962). Tra latte e amore, a prima vista, la differenza sta nella concretezza del primo, e nella immaterialità del secondo. Ma, «dal punto di vista del benessere psichico del bambino, [l’amore, può essere concepito] come qualcosa di simile al latte» (Bion, 1962). Il canale digerente è l’apparato idoneo alla ricezione del latte; apparato che sembra mancare, invece, alla ricezione dell’amore. Ma, come fa notare Bion, esiste una stretta correlazione, nel rapporto madre-bambino, tra il latte e l’emotività; infatti, «quando succede che il latte viene a mancare, si chiamano in causa disturbi emotivi [e], Altrettanto per il bambino: quando soffre di disturbi digestivi, si imputa all’ambiente emotivo l’origine di essi» (Bion, 1962). Ecco che il seno (inteso per come lo intende Melanie Klein) è l’oggetto che dispensa, non solo il latte, ma anche l’amore. Si tratta, quindi, di un «seno psicosomatico […] [cioè dell’] oggetto di cui il bambino ha bisogno per procacciarsi il latte e gli oggetti interni buoni», il quale trova corrispondenza in un «canale alimentare psicosomatico» (Bion, 1962) del bambino.
La rêverie
La madre, dunque, esprime il suo
amore, «oltre che con i canali fisici di comunicazione, [anche] per
mezzo della rêverie»
(Bion, 1962).
La rêverie
è un fattore
della funzione
alfa della
madre, ed è definita
da Bion come «lo stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli
“oggetti” provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè
capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino,
indipendentemente dal fatto se costui le avverta come buone o come
cattive» (Bion, 1962).
Essa è un’attività mentale che, combinandosi con altre, forma
quella funzione
capace di trasformare le impressioni sensoriali delle esperienze
emotive in oggetti pensabili (o passibili di evolvere in pensieri),
anche se in questo caso si parla delle sensazioni del bambino. In
questa relazione di rêverieil concetto di
identificazione
proiettiva, per
Bion, varca i limiti della fantasia intra-psichica del soggetto alla
quale Klein lo aveva legato, e va a coprire un ruolo più ampio: la
comunicazione.
Il meccanismo che Melanie Klein aveva enucleato si configura, in
Bion, come una modalità
primitiva di comunicazione delle proprie esperienze emotive
«che opera piuttosto con gli oggetti esterni che con gli oggetti
interni» e che «induce realmente
nell’altro un coinvolgimento emotivo» (Bertolone,
S.; Correale, A.; De Spuches, G.; Fadda, P. (1994).
In quanto modalità comunicativa
delle emozioni, e in quanto meccanismo atto a manipolare la realtà
esterna, l’identificazione
proiettiva, è già
concepibile come «una varietà primitiva di quanto più tardi viene
definito capacità di pensare» (Bion,
1962). Essa tende sì, a
sbarazzare l’apparato psichico dall’accumulo di stimoli, ma
soprattutto tenta di instaurare un
“canale emotivo” con l’alterità,
creando un «campo bi-personale o pluri-personale» (Bertolone,
S.; Correale, A.; De Spuches, G.; Fadda, P. (1994) che
garantisce il passaggio delle emozioni verso una soggettività capace
di “metabolizzarle”. La funzione
alfa della madre deve
avere la capacità di accogliere le comunicazioni emotive del bambino
(che fanno sempre riferimento alle sensazioni di persecuzione da
parte di oggetti cattivi, come il seno
cattivo), di
modificarle e di restituirle sottoforma di «oggetti interni stabili
o funzioni mentali acquisite» (Il
seno cattivo
è l’esperienza dell’assenza di un seno
buono, vissuta come
esperienza di presenza di un seno dalle qualità opposte. Il bisogno
di un seno buono,
che però è assente, si trasforma nel bisogno di eliminare-espellere
un seno cattivo).
Nel periodo dell’allattamento, quindi, il bambino è preda di forti emozioni per lui incomprensibili; gli elementi beta, che costituiscono queste emozioni, possono solamente essere evacuati mediante l’identificazione proiettiva, comunicati alla madre, disposta a riceverli nella posizione di rêverie, la quale li “metabolizza”, restituendoli al bambino insieme alla capacità di formare i pensieri: la funzione alfa. La comunicazione resa possibile dalla identificazione proiettiva fa si che la madre possa «riconoscere lo stato d’animo del proprio bambino prima che egli stesso ne sia conscio» (Bion, 1962), e rende possibile una risposta adeguata a quelle emozioni (ad esempio, una rassicurazione) che viene comunicata al bambino. Il latte e l’amore sono per Bion, rispettivamente, la condizione di uno sviluppo sano dell’organismo, e la condizione della possibilità di evoluzione di un apparato sano per pensare i pensieri: infatti, mentre mediante il latte il bambino può sostentarsi e crescere fisicamente, tramite l’amore, la rêverie della madre, egli può sostituire ai contenuti emotivi incomprensibili, persecutori e cattivi che lo pervadono dei contenuti integri, buoni e pensabili, introiettando anche la funzione alfa, la quale gli permetterà di sganciare il suo apparato psichico da quello della madre nella produzione e nell’utilizzo dei pensieri.
Anomalie nella funzione alfa
La dinamica tra elementi alfa e elementi beta nella relazione di rêverie con la madre, non si esaurisce, naturalmente, nell’esito positivo della assunzione della funzione alfa, nella costituzione dellabarriera di contatto che separa conscio e inconscio e nella possibilità di pensare i pensieri. La teoria delle funzioni di Bion ha il compito di rendere ragione di tutte le situazioni analitiche, senza fare ricorso a teorie ad hoc ogni qualvolta si presentino delle realizzazioni sconosciute. I disturbi del pensiero si opponevano alla teoria classica di Freud, e non potevano essere oggetto di indagine mediante quella. Ecco che, parallelamente allo sviluppo “positivo” della funzione alfa, si presenta anche il suo contrario, una mancanza o una forma di impiego di essa volta all’esclusione del principio di realtà, e determinato dal predominio dell’invidia (in senso kleiniano)e dell’incapacità a tollerare la frustrazione nella relazione originaria con la madre. Se «l’intolleranza della frustrazione (o l’eccesso di invidia o di odio) superano un certo limite, entrano in opera meccanismi onnipotenti, specialmente quello dell’identificazione proiettiva» (Bion, 1962), che può condurre all’evacuazione, insieme agli elementi beta indesiderati, anche della stessa funzione alfa. A causa di questi meccanismi la funzione alfa può subire, o un arresto, che la conduce ad essere difettosa, o una «inversione di senso» (Bion, 1962) nel suo operare. Quando la funzione alfa è difettosa, al posto della barriera di contatto formata da elementi alfa, si costituisce lo schermo beta, un agglomerato di elementi beta, che presenta caratteristiche di coerenza, «dotato di una speciale proprietà, quella di provocare le risposte desiderate ovverosia di indurre nell’analista una reazione fortemente caricata di controtransfert» (Bion, 1962). Con l’inversione della funzione alfa, tutti i suoi prodotti subiscono un processo teso a “spogliare” gli elementi alfa di «quelle caratteristiche che li diversificavano dagli elementi beta» (Bion, 1962), per poi essere proiettati. Ne risultano degli oggetti differenti dagli elementi beta, ma che a loro si approssimano più di qualsiasi altro elemento: gli oggetti bizzarri. A differenza delle impressioni grezze che il soggetto avverte durante una esperienza emotiva, gli oggetti bizzarri presentano delle «tracce di Io e di Super Io» al loro interno. Il soggetto considera gli oggetti bizzarri «come parti di sé e nello stesso tempo oggetti del mondo esterno che mantengono una vita propria ed incontrollata» (D’Aspruzzo, A. (1994)) «Il paziente avverte che ogni particella consiste di due parti: un nucleo costituito dall’oggetto reale ed un alone attorno ad esso, rappresentato dal frammento della propria personalità» (Bion, 1957).
Riferimenti bibliografici
Bion,
W. R. (1957) Criteri
differenziali tra personalità psicotica e non psicotica.
In Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Roma, Borla
Bion,
W. R. (1962) Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando 1972
Bion,
W. R. (1963) Gli elementi della psicoanalisi. Roma, Armando 1973
Freud,
S. (1899) L’interpretazione dei sogni. OSF, Vol. 3
Freud,
S. (1911) Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico.
OSF, Vol. 6
Neri,
C.; Correale, A. ; Fadda, P. (a cura di) (1994) Letture bioniane.
Roma, Borla